Rossana Mauri Giornalista e Podcaster intervista Dalia Benefatto Founder di Devalia società di validazione.
Quando parliamo sostenibilità sappiamo che il mondo del tessile è tra i maggiori responsabili per inquinamento e sfruttamento di risorse.
Per scoprire cos’è accaduto, ci facciamo raccontare la storia del jeans da Dalia Benefatto, esperta conoscitrice di tutta la filiera di produzione del denim.
Dalia ci porterà dal 1500 alla contemporaneità per farci capire cosa fare oggi per innescare la transizione verso la sostenibilità nel mondo della moda.
Buongiorno Dalia, da dove partiamo?
Dalia: Potremmo partire dal XV secolo quando nella città di Chieri, in provincia di Torino, si produceva un tipo di fustagno di colore blu che veniva esportato attraverso il porto di Genova.
Considerando che all’epoca si usava dare ai tessuti il nome del luogo di produzione, si ritiene che il termine inglese blue-jeans derivi dalle parole bleu de Gênes ovvero blu di Genova.
In seguito dal porto genovese iniziò la grande esportazione di questo tessuto tinto con indaco, con un’alta resistenza e il prezzo molto contenuto.
Nel 1853 Levi Strauss per produrre capi d’abbigliamento utili ai cercatori d’oro, usava proprio il tessuto proveniente da Genova e fondò a San Francisco la Levi Strauss & Co.
Ma il moderno jeans in denim fu inventato nel 1871 dal sarto Jacob Davis, che aggiunse ai pantaloni i rivetti in rame per rinforzare i punti maggiormente soggetti ad usura.
Fino alla seconda guerra mondiale il jeans rimane un abito da lavoro, usato da ricercatori d’oro, cowboy e contadini; poi nel dopoguerra diventa un indumento da tempo libero.
Come altri beni, i tessuti erano razionati e potevano essere acquistati grazie a particolari «buoni».
Ecco che i jeans spopolano perché erano estremamente economici si potevano avere in cambio di un solo coupon!
E’ in questi anni che la produzione del jeans sale enormemente di numero ma fin qui stiamo parlando di storia.
Le cose si complicano quando il jeans diventa un capo di moda e le varie griffe cercano di accaparrarsi un pubblico sempre più vasto.
Per ottenere questo personalizzano il tessuto in modo da renderlo assolutamente unico ed esclusivo.
Dalia: Esatto, alla fine degli anni 70, le varie griffe si impadroniscono del jeans, quale capo di abbigliamento elegante.
A partire dagli anni 80 qualsiasi ditta di abbigliamento produce una propria linea di jeans visto che sono preferiti quelli firmati diventando un oggetto di lusso.
Dal 1980 il denim viene trattato con lo “stone wash”, durante il lavaggio, per creare un effetto “vissuto”.
Poi é la volta del “marmorizzato”, ottenuto con pietra a secco bagnata di cloro o permanganato di potassio.
Dagli anni ’90 l’aspetto invecchiato viene ottenuto spruzzando chimici e con la sabbia che abrade la parte del jeans che normalmente si usura indossandolo per anni.
Poi si affermano rotture, rammendi, toppe e le tecniche del resinato per ottenere effetti tridimensionali.
Ed è qui che la situazione si rivela essere insostenibile.
Da un lato la produzione sale esponenzialmente, e conseguentemente aumenta il consumo delle risorse come l’acqua.
Per produrre un solo paio di jeans si era arrivati a consumare 3.772 litri d’acqua.
E dall’altro la mancanza di sicurezza per i lavoratori sottoposti al contatto costante con prodotti chimici.
Ma oggi nel 2023 a che punto siamo?
Dalia: Il denim oggi affronta la sua più importante rivoluzione e dopo tante trasformazioni eccolo alle prese con la battaglia più difficile.
Oggi deve attraversare questa fase di transizione per uscirne indenne e vincitore.
Ed è qui che nasce Devalia, che si impegna nella validazione scientifica di capi e alla creazione di un passaporto digitale.
E’ corretto Dalia?
Dalia: Si, infatti, DEVALIA nasce dall’idea di promuovere, soprattutto nel tessile, lo sviluppo di una cultura che approcci l’innovazione basandosi sulla ricerca scientifica.
Un approccio scientifico può risultare essenziale per uno sviluppo sociale innovativo e etico, fornendo una metodologia di ricerca dei dati oggettiva.
Questa prassi una volta ufficializzate renderebbe più difficili anche le comunicazioni ingannevoli, come l’odiato greenwashing.
Il ruolo, è strategico, e ha l’obiettivo di facilitare la comunicazione tra i diversi mondi quello scientifico, i brand e l’industria.
Un dialogo che agevoli la creazione di sinergie che rispondano concretamente alle problematiche esistenti in ambito industriale.
Devalia ha anche l’obiettivo di Favorire la collaborazione multidisciplinare all’interno delle diverse imprese.
Tra marchi ed enti di ricerca scientifica sarà necessaria una collaborazione concreta per affrontare le sfide ambientali e sviluppare progetti di economia circolare.
In ultima analisi Dalia tu cosa proponi come cambiamento strategico per e aziende?
Dalia: Ci troviamo in un momento storico importante, dove è determinante un cambiamento di direzione che lasci poco margine a interpretazioni personali.
Tutto quello che produciamo finisce, prima o poi, nella nostra catena alimentare.
Quindi le tre direzioni principali per creare prodotti sostenibili sono: progettarli al fine di essere riciclabili, renderli durevoli e compostabili.
Il Passaporto Digitale consentirà maggior trasparenza e tracciabilità ma ciò che è fondamentale è che le aziende comprendano che al centro di tutto ci sono le persone!!
Sfide Ecosostenibili 7° Stagione – Devalia con Dalia Benefatto scopriamo la storia del jeans.
Voci narranti di: Rossana Mauri e Dalia Benefatto
Musiche di: Raccontipodcast.com